Da dove entro? Non ci sono porte!
Uno dei percorsi taglia gli altri due, c'è una parete nera alla mia destra, il mio sguardo prosegue dritto verso il fondo dove c'è una porta metallica sghemba. La porta è pesante da aprire, si richiude dietro di me come una molla, lascia una eco di metallo che mi risuona nelle orecchie, è come i suoni deformati di quando si è prossimi a perdere i sensi. Sono dentro è altissimo deformato e buio, l'istinto mi obbliga a guardare in alto perchè da lì, da una strettissima feritoia, arriva un po di luce livida che non riesce a toccare terra. Dall'esterno arrivano voci di bambini, che penso si rincorrono, sono gioiose, le sento, ma non vedo, sono isolato dal mondo esterno. Guardo sempre verso l'alto. Ho un senso di angoscia e disperazione crescente, entrano altre persone ed osservo il loro disagio quando la porta si richiude alle loro spalle con lo stesso tonfo che ha accompagnato il mio ingresso. Sono nella torre dell'olocausto e... sento dentro di me la potenza dell'isolamento dalla realtà esterna... dove sono? ...dove mi hanno portato?.... chi sono queste ombre che condividono questa desolazione?
Apro la porta ed esco fuori, cala il senso di disagio, il pavimento è in pendenza e mi sembra anche un po ruotato sul suo asse, torno indietro, giro nuovamente a destra e seguo una via che mi porta verso la luce ed il sole.
Mi trovo in un giardino sottoposto al terreno circostante. Ci sono 49 pilastri altissimi ed inclinati, con degli ulivi dentro, formano una scacchiera, il disagio non cessa. Il pavimento è in pendenza e mi dà un senso di nausea, mi sento schiacciato verso il muro alla mia sinistra, mi appoggio ad esso... i pilastri altissimi fanno intravedere spicchi di cielo, i muri bassi che definiscono il percorso intorno ad essi sono in contropendenza rispetto al piano. Anche qui faccio fatica a stare, provo a sedermi su uno di questi muretti ma scivolo verso il basso, inesorabilmente, perche anche il suo ripiano è inclinato e non si riesce a stare seduto. Nulla è al suo posto. Sono nel giardino dell'esilio e... sento sul mio corpo la forza che ti attira verso il punto da cui sei arrivato.
Sono dentro nuovamente, avevo notato che sulla mia sinistra c'è una scala ripida, la percorro, sulla mia testa incombono minacciose delle travi immobilizzate in una fase di crollo
Avevo tre chance. La prima: la strada senza uscita dell'olocausto mi aveva portato in una torre buia alta 2o metri, questa via trancia drammaticamente le altre. La seconda la via dell'esilio mi aveva portato nel giardino E.T.A. Kauffman, dove ho trovato i 49 pilastri che rappresentano la fondazione di Israele. La terza: la via della storia, si srotola come una spirale della vita con una moltitudine di oggetti, libri, fotografie, ricordi, e vicissitudini. Sono nella via della continuità e ... provo un senso di speranza la vita va avanti sempre e comunque.
"VOIDED VOID"
Il volume pieno della torre dell'olocausto ha un corrispettivo fatto di vuoti lungo lo zig zag del museo. Una linea retta interseca lo zigzag e determina sei vuoti, spesso non praticabili, che interrompono l'articolazione del percorso. Sono i vuoti della storia, sono i vuoti dell'assenza di Dio, è il vuoto delle vite assassinate, "Voided void", "Vuoto del vuoto".
In uno di questi "voids" ho vissuto una esperienza molto forte: il piano è tutto ricoperto di facce di acciaio ossidato simili ad uno smile disperato. Ho camminato sopra di esse ed è come camminare su migliaia di cadaveri, il rumore che ne nasce, che risuona nell'alto volume vuoto, è simile a quello di ossa rotte. Sotto di me ho visto facce di tutti i tipi e tutte le grandezze alcuni per me sono visi di adulti, altri di bambini ... Io... ho giocato come quando ero un bambino .... ho calpestato ed ho ascoltato i suoni, ma dentro di me una forte tristezza ,... ho raggiunto l'angolo più recondito e buio di questo trapezio deforme, perchè quelli capitati negli anfratti più isolati mi chiedevano di essere visti e visitati da una anima viva. "Non dimeticarmi" ... mi hanno detto "qualcuno mi ha fatto tutto questo".
Ventiquattrogiugnoduemilasette Judisches Museum