Quel giorno non riuscivo proprio a pensare, tra una striscia d'ombra e l'altra, lame di luce, come laser, mi affettavano la mente ed i pensieri. Accarezzavo i muri come a volte fanno i gatti inarcando la schiena. Volevo un gelato. Mi muovevo studiando traiettorie irrazionali che evitassero la presenza del sole, guardavo il pavimento ed alzavo lo sguardo solo sporadicamente verso l'alto, verso le superfici taglienti azzurrine e riflettenti dei palazzi a vetro che mi incanalano verso la mia auto. Alla guida il sole mi costringeva a concentrare l'attenzione sulla strada. Guidavo alla cieca temendo, dopo ogni sferzata di luce, che annullava quello che mi era di fronte, di schiantarmi. Questa preoccupazione forse stupida, forse no, ha demolito tutta l'architettura sbilenca dei miei pensieri, fatti in realtà di un solo pensiero, sempre lo stesso, un simbolo oramai.
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