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giovedì 29 gennaio 2009

trecento all'ora


Ho sbirciato tra le doghe delle imposte per riuscire a vedere un pezzetto di cielo. Ho freddo mi tremano le ginocchia e non riesco a fermarle, ho indosso un vecchio maglione di A. pieno di buchi. Non ho un pigiama in questa casa, potrei averlo ma poi non ne ho mai portato uno. Di notte, qui, dormo con questo vecchio maglione di cashmere grigio antracite.
Fuori è ancora buio, anche se dietro la sagoma del vesuvio c'è un bagliore di luce che anche oggi non riuscirà ad essere sole per questa fitta coltre di nuvole nere che è cielo da non so più quanto tempo. Le luci delle gru del porto sembrano fortissime nonostante la distanza.
Vorrei tornare a letto, rimettere i miei tappi, ficcare la testa sotto il cuscino e rannicchiarmi con la mano nelle mutande.
Invece vado in cucina butto giù la pillola che prendo ogni mattina, da ormai quasi un anno, insieme ad un tappo di succo di agave e, mentre scivola lungo l'esofago, mi chiedo, anche oggi, se la combinazione di queste due cose può nuocermi. Con il collo retratto tra le spalle mi allontano dal pavimento freddo della cucina dirigendomi verso il più confortevole pavimento in legno delle altre stanze e, senza pensarci troppo, mi spoglio e faccio la doccia. L'acqua in questa casa ha un getto debole, non è copiosa come piace a me, faccio la doccia al buio anche questo come piace a me. Non mi allontanerei più dal getto d'acqua; ruoto il mio corpo attorno all'asse dell'acqua, ciclicamente, così da scacciare il freddo che si impadronisce delle parti scoperte. Ho un treno tra poco più di un'ora e non posso rischiare di perderlo, questa lotta tra indugio e senso del dovere mi appare come la metafora di molte mie giornate.
Chiudo l'acqua, mi asciugo, mi vesto con le cose che avevo deciso di indossare già dal giorno primo, controllo di aver la pen drive e vado via.
Le scale di casa di A. sono quelle tipiche dei palazzi napoletani antichi, sono aperte sul cortile sono piene di piante ed eleganti nel loro gioco ardito di archi e volte rampanti. Non fa freddo come temevo ma il pezzo di cielo che vedo ritagliato nel quadrato del cortile non promette niente di buono. Non è ancora del tutto giorno e non c'è nessuno in giro. Le vie che mi conducono verso la metro più vicina sono pavimentate con basoli lucidi e zuppi di pioggia, guardo il gioco di riflessi che produce la luce dei lampioni mista alla luce del giorno che nasce. Ho di nuovo freddo, forse è il sonno ed il desiderio di stare ancora per un poco a letto. Le scale della stazione mi ingoiano, scendo contro il vento tropicale che sale dalle viscere artificiali della terra, questa aria calda intensa mi fa lacrimare gli occhi, giù, a decine di metri sotto, mi ritrovo sulla piattaforma insieme ad un'altra persona che si è sistemata sull'ultima panchina. Comincio ad aver paura di non aver calcolato bene i tempi, devo prendere un treno di questa linea scendere tra una stazione per prendere la metro dell'altra linea e quindi arrivare alla stazione centrale. Alla stazione museo scendo e corro sui tapis roulant del lungo tunnel che collega le due linee faccio di corsa le scale che mi portano giù ai binari della stazione cavour e prendo un treno al volo.... salvo blackout crollo delle gallerie attentati o deragliamenti dovrei farcela.

Sono sul treno per Roma vedo scorrere alla mia destra le superfici di vetro degli uffici del centro direzionale hanno un colore intenso sembrano puliti per la pioggia che ha lavato tutto, questi monoliti si stagliano gelidi con un aria di sfida e al contempo di precaria provvisorietà sullo sfondo di un cielo "blu violet lake"come il blu della mia collezione di pastelli Derwent che usavo quando ero studente di architettura. Il treno scivola veloce tra le maltrattate periferie di questa città che ha volte sa essere veramente orrenda. Come al solito non riesco a leggere o fare altro, l'attrazione verso quello che scorre al di là dei vetri mi ipnotizza, ascolto la musica e guardo lo scorrere sconfortante di case indecorose che accerchiano per chilometri la città si passa da un paese all'altro senza accorgersene se non fosse per i cartelli delle stazioni. Poi cominica la campagna quella piatta ed insulsa del basso casertano tutte le strade che si affiancano alla ferrovia sono coperte da striscie senza fine di cumuli di spazzatura di ogni tipo che lambiscono tutto e straripano nei viottoli dei campi, fuori dal muro di cinta di un allevamento vedo una bufala morta gambe all'aria tra frigoriferi e balle di polistirolo. Balle di polistirolo e rifiuti di ogni tipo contaminano ogni cosa, non riesco a capirlo il suicidio collettivo di questa terra. Chiudo gli occhi per un tratto, mi prendo un grande sconforto. Quando il treno è nei pressi di Sessa Aurunca il paesaggio cominica ad articolarsi anche la campagna ha un aspetto diverso è bella da vedere, tra un po passerò il Garigliano e sarò in Italia

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Un affresco cittadino, sembra di viverlo.Ho quasi sentito l'odore di gomma e di galleria e di mezzi di trasporto. FInalmente si può leggere qualcosa di te....:) MXQ

Anonimo ha detto...

molto bello, davvero...

Anonimo ha detto...

Chi spacchio è sto paciu? mi gilusiai....! Maxq
(mafia contro camorra?)